Ian Hacking

La natura della scienza

McGraw-Hill, Milano 2000

pp. 245, £. 36.000

 

 

 

Fra il 1981 e il 1997 sono state definite come “socialmente costruite” le seguenti entità: la paternità letteraria, la fratellanza, il bambino telespettatore, il pericolo, le emozioni, i fatti, il genere, la cultura omosessuale, la malattia, la conoscenza, l’alfabetismo, gli immigranti ricoverati, la natura, la storia orale, il postmodernismo, i quark, la realtà, gli omicidi seriali, i sistemi tecnologici, la scolarità urbana, le statistiche di vita, le donne rifugiate, la gioventù senza tetto, il nazionalismo zulù, la sordità, la mente, il panico, gli anni Ottanta e la scienza dello straordinario. Della pena relativa alla compilazione dell’elenco si è fatto carico l’informatissimo Hacking (pag. 1) – il quale, peraltro, su di una “semantica costruttivista” non sembra saperne niente e non ha niente da dire. L’elenco, comunque, è lungo e composito, più che sufficiente per indurre a riflessioni. A maggior ragione un epistemologo come Hacking, che, sentendo definire il proprio libro sulla personalità multipla (Rewriting the Soul, 1995) come “un classico del costruzionismo sociale”, se ne stupisce – o dice di essersene stupito (pag. XII).

Chiedendosi, dunque, “costruzione sociale di che ?” (The social construction of what ?, 1999) e cercando di definire i termini della domanda, autointerrogandosi sul perché della domanda stessa, da Hacking – come è più o meno regolarmente avvenuto ogniqualvolta ha scritto qualcosa – ci vengono elargiti lampi di intelligenza associati a lealtà e rettitudine morale.

Fa bene al cuore, per esempio, leggere le sue analisi basate sulla consapevolezza che il modo di classificare gli esseri umani interagisce con gli esseri umani stessi (pag. 28) e si può condividere l’opinione relativa alla nozione di “genere interattivo”, che “è confusa ma non priva di utilità” (pag. 95). Nei confronti delle peggiori nefandezze di psicologia e sociologia, psichiatria e psicoanalisi, di certo risulta antidoto efficace.

E’ corretto, per esempio, individuare le radici del costruzionismo sociale all’interno del neopositivismo (ad esempio in Der Logische Aufbau der Welt di Rudolf Carnap) (pag.38) e farle derivare ancora da Kant (pag. 36). Fa piacere trovarlo schierato con Fleck (pag. 53) e che si ricordi – parlando di “operazioni mentali” in quanto soggetto di “costruzioni” – di Brouwer nonostante lo lasci circoscritto al “costrutrtivismo in matematica” non accennando neppure alla sua teoria di base (pp- 40-41). E, infine, non si può che concordare sul fatto che “molti dispregiatori della scienza e conoscitori di nulla si aggregano al costruzionismo per difendere la loro impotente ostilità nei confronti delle scienze” (pag. 61).

Tuttavia, i conti non risolti con la teoria della conoscenza e la mancanza di una definizione operativa del mentale – cui andrebbe aggiunta una sua eventuale modellizzazione – lo lasciano nei pasticci. Così la domanda “costruzione sociale di che cosa ?” non dovrebbe “necessariamente trovare una singola risposta” (pag. 25) e così “qualcosa può essere una costruzione sociale e al tempo stesso reale”. Per Hacking sarebbe “un atto di conciliazione” e non un intoppo, ammettendo tuttavia che, volendo (per amor di analisi) “si possono anche riscontrare differenze insuperabili fra i realisti e i costruzionisti” (p. 61). Al contempo – e qui sta il bello - fra il “reale” e il “costruito” non ci sarebbe incompatibilità di carattere, ma, riciclando una metafora che fu già di Thomas Kuhn detto l’Incerto, una “fondamentale tensione” – e i casi del ritardo mentale, dell’autismo e della schizofrenia starebbero ad esemplificarlo (pag. 99). Si dice lieto, dunque, di assumere e di legittimare  “un atteggiamento ambivalente per quanto riguarda la costruzione sociale”, fino al punto di accettare, nonostante tutte le debolezze poste in luce dai critici, le teorie semantiche del riferimento come strumenti utili (pag. 111).

Va da sé, allora, che per Hacking non ci sia  “un unico metodo scientifico” (pag. 182), mentre possa ancora formulare la domanda sulla “esistenza reale” dei nanobatteri (pag. 178). Come va da sé che, qua e là, faccia ricorso ad alcune semplificazioni disarmanti – del tipo di quell’asserzione di Dawkins secondo la quale “nessuno è costruzionista a trentamila piedi”. Così “le scienze naturali” si definirebbero  “da sé” (pag. 58) e “l’idea-ismo” di Berkeley sarebbe la “dottrina che tutto ciò che esiste è mentale” (pag. 22) – dove l’uso del termine “esiste” rivela la portata di tutti gli umori filosofici di cui Hacking è tuttora intriso. In una sola occasione, d’altronde, parla di “costituzione sociale dei fatti scientifici” (pag. 154) senza commentare – lui così preciso in tante situazioni terminologiche e non solo terminologiche – in alcun modo lo scambio e l’esemplificazione del “costruire” è condotta soltanto sull’attività  trasformativa (riferendosi ad “un banjo a cinque corde”, pag. 44).

Non vorrei, con tutto ciò, aver dato l’impressione che questo libro di Hacking sia trascurabile. Dal lato minore, sembrerebbe, invece, un libro che dimostra (senza volerlo) la necessità di sostituire il termine  “costituire” al termine  “costruire” una volta effettuato, beninteso, un percorso concettuale analogo a quello della Scuola Operativa Italiana. Ma dal lato maggiore sembrerebbe, anche, un passo ulteriore per far emergere le contraddizioni epistemologiche annidatesi nel pensiero scientifico. Che si può pretendere di più di un filosofo che, giunto allo stremo nonché consapevole delle urgenze del mondo, si vede costretto ad assumere entrambi, un giorno l’uno un giorno l’altro – a seconda dei problemi che si pone -, i due punti di vista radicalmente opposti di cui dispone ?

 

 

                                                                       Felice Accame

 

 

P.s.: L’ambivalenza epistemica da “zappa sui piedi” di Hacking perviene a vette insuperabili laddove lamenta la stupidità della traduzione inglese del libro di Latour. Si intitolava Les microbes ed è stato tradotto in The Pasteurization of France (pag. 215). Beh, quando gli capita dia un’occhiata anche in casa propria. Perché il suo Rewriting the Soul, in Italia, è stato tradotto in La riscoperta dell’anima, mentre questo suo The social construction of what ? è stato tradotto in La natura della scienza.