Da “Prometeo”, 19, 73, marzo 2001 –con il titolo (redazionale!) Né immagini né parole, ma soloattività mentale (tanto per fomentare qualcheinterpretazione grossolanamente idealistica in più).
Nel seminario romano dell’11 maggioscorso, intitolato “Immagine teoretica o teoretica dell’immagine ?”,ho preso le mosse da alcuni esempi tratti dalla storia della scienza. Horicordato che, nell’epoca in cui la rappresentabilità deglioggetti di studio della fisica entrava in crisi, si svolse l’avventurarelativa all’elettrone avente carica positiva, o positrone (o positone).Così come la racconta Norwood Hanson (in Il concetto di positrone
“La teoria era contraria.L’osservazione era contraria”, dice Hanson e così neratifica la momentanea invisibilità.
Ho ricordato pure alcune osservazioni diFleck. Nel 1935, Ludwik Fleck pubblicò Genesi e sviluppo di un fattoscientifico e non se ne accorse quasi nessuno. Nel1962 Kuhn, però, pubblica La struttura delle rivoluzioni scientifiche
O come quello del numero delle ossa del corpoumano. Lo stesso Fontanus, infatti, le farebbe ammontare a 364, ma, modificandoi criteri descrittivi, ovviamente, si può giungere a vari risultatidiversi. L’ Enciclopedia moderna italiana diBaldi e Cerchiari, molta diffusa nel periodo fascista, è incerta tra
Spiega Fleck che “il vedere una formaè questione che tocca esplicitamente lo stile di pensiero” –e che “ogni osservazione è un vedere con un senso”. Ilrisultato di ogni percezione – come le forme con le quali lorappresentiamo – dipenderebbe da presupposti e verrebbe a far parte diquel calderone sociale che è la “conoscenza”.
I nomi, poi, conterrebbero le teorie e,spesso, ostacolerebbero la consapevolezza circa il cammino che è statopercorso e il mutamento possibile. Fiumi d’inchiostro, d’altronde, sonostati versati sul nome “atomo” – che significherebbe il “nonscindibile”.
Ho ricordato anche – meno a caso -
Ho spiegato, poi, come qualcuno, da questi eda analoghi esempi, abbia tratto una morale che non mi piace, ovvero l’avvaloramentodi tesi scetticheggianti. Se ogni percezione è carica di teoria –se non possiamo vedere l’organo senza aver individuato una funzione, selo statuto di fisicità è frutto comunque di criteri, se lapercezione modella il percepito -, la scienza non sarebbe un’impresaaffidabile. Questa tesi, a mio avviso, riposa su una concezione della scienzagravemente erronea, tipicamente filosofica.
Esentatici dall’idea che la scienzadebba riprodurre fedelmente una “realtà esterna” oggettiva –un’idea autocontraddittoria, perché niente e nessuno potràmai garantire del confronto tra le due “copie” -, la possiamoconsiderare un’impresa aperta, basata sulla definizione di paradigmi,sull’individuazione di differenze dai paradigmi e dal tentativo di sanarequeste differenze – possibilmente senza contraddire le sanatureprecedenti e, a volte, il più raramente possibile, mutando i paradigmi. Losviluppo della scienza, allora, avverrebbe per nuovi costituiti e per rapportinuovi tra costituiti noti.
La mia posizione è minoritaria.Perché non faccio fatica ad ammettere che i costituiti di cui parlo sonoil risultato di operazioni mentali e che si sbaglia a ratificare allascientificità solo ciò che merita lo statuto di “fisico”.E’ la posizione che, pur con differenti orientamenti, fu di Bridgman, diCeccato e, più recentemente, del Norbert Elias del Saggio sul tempo
Rivendico, dunque, la necessità
Insomma: senza mentale niente immagini –e, a maggior ragione, niente teoria.
Da questa posizione, posso anche contestare lamaggior parte dei presupposti che stanno alla base di alcune delle domande conle quali si vorrebbe risintetizzare il dibattito svolto. Per esempio, non mipongo il problema della preminenza informativa tra “parola scritta”,“immagine” o “parola+immagine”, perché considerol’informazione un risultato operativo del percipiente e non un dato dipartenza passibile di trasferimento. Oppure: non posso scegliere fra la memoriacome “mondo di immagini” o “mondo di parole” –checchessia voglia dire “mondo” e nonostante sia piùelegante di “magazzino” -, perché considero la memoria unprocesso e perché ritengo che i costituenti di questo processo nonpossano essere né immagini né parole. Oppure ancora: non cerco ditrovare differenze fra immagine e parola prima di aver individuato cosa processualmentele accomuna. D’altra parte, so che giudicare della “civiltà”o della “inciviltà” di una certa (o incerta) situazione significaapplicare valori – per l’analisi dei quali mi occorrerà,anche qui, un modello dell’attività mentale che li costituisce.
Felice Accame