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Recensione a Domenico Parisi, Mente - I nuovi modelli della Vita Artificiale
Felice Accame

L'osservazione estetica secondo Arturi
Giuseppe Vaccarino

Notizie

Felice Accame
Recensione del volume:

Domenico Parisi
Mente
Il Mulino, Bologna 1999
Pp. 192, Lit. 28.000

 

 

Se il lettore di Mente - I nuovi modelli della Vita Artificiale (Il Mulino, Bologna 1999) di Domenico Parisi sapesse che, alle conclusioni, gli si dirà che "tutta la realtà è ugualmente reale" (pag. 184) e che "ci sono altri modi di conoscere e capire la realtà, diversi dalla scienza, che la scienza non è in grado di sostituire" (pag. 185), molto probabilmente non ne comincerebbe la lettura. Per ottenere questi risultati basta qualche trasmissione televisiva all'insegna della "scienza pluralista". Tuttavia, l'ipotetico lettore sbaglierebbe. Ci sono almeno due buoni motivi per leggere questo libro attentamente.

Il primo potrebbe essere costituito dall'informazione relativa a quei modelli di "vita artificiale" cui si allude nel sottotitolo. Modelli in fieri - che avrebbero potuto essere elaborati già a partire dalla prima cibernetica se non si fossero privilegiate alcune strade a sfavore di altre -, imperniati su quella che per Parisi è una "rivoluzione neurale" (pag. 180), sono affidati alla simulazione tramite computer e incaricati di rappresentare "assaggi" di attività mentali in evoluzione: l'apprendimento, la motivazione, l'attenzione, la categorizzazione, la memoria, la capacità di prevedere, la capacità linguistica, la vita emotiva e i comportamenti sociali. Il tutto, ovviamente, riflette un modello funzionale piuttosto povero e piuttosto mal-articolato (perché, per esempio, già si parte da una distinzione fra attenzione e categorizzazione, o perché il linguaggio non è a queste connesso, o perché per memoria s'intende davvero poca cosa), ma se di ciò ci fosse piena consapevolezza non costituirebbe, alla finfine, peccato neppur tanto grave. Occorre aver pazienza e, a fronte delle numerose strade sbagliate imboccate a proposito del mentale - i dualismi e la pretesa "rivoluzione cognitiva" (pag. 43, quante rivoluzioni delle quali non ci si accorge !) cui Parisi fa ampi riferimenti - sapersi accontentarsi.

Il secondo buon motivo per leggere il libro deriva dalla paradigmaticità del suo apparato giustificatorio. In ogni narrazione che meriti rispetto c'è il momento in cui l'autore dice perché le idee degli altri sono sbagliate e perché quelle giuste sono venute proprio a lui. E, siccome non rientra fra le regole del galateo intellettuale, dichiarare la propria superiorità mentale (pofferbacco, non siamo più ai tempi di Paul Julius Moebius), si tira in ballo più modestamente il concorso di eventi fortunati e la "maturazione" dei tempi.

Il racconto di Parisi potrebbe cominciare con il riconoscere nel computer "la più grande invenzione tecnologica del Novecento" e rendendosi conto che, dopo il suo avvento, "le macchine possono essere meccaniche senza essere naturali" (pag. 48). "Un computer funziona manipolando simboli in modo algoritmico", dice Parisi, ovvero "considerando soltanto la forma fisica dei simboli" (che, allora, peraltro non si capisce in virtù di che possano essere legittimamente chiamati "simboli"), e, dunque (anche qui, non si capisce in virtù di che) "abolendo ogni loro possibile vaghezza, imprecisione e ambiguità" (pag. 50).

Fatto il passo analogico dal computer alla mente - di cui, secondo Parisi, il Wittgenstein del Tractatus avrebbe posto le premesse (pag. 53) - diventerebbe "scientificamente rispettabile" perfino il dualismo, mentre neuroscienze e biologia diventerebbero un optional (pag. 52). Tuttavia, i risultati dell'intelligenza artificiale "fanno venire il sospetto" (a Parisi l'espressione piace - cfr. pagg. 56, 58, 61 -, come a quel detective che, sapendo già chi è l'assassino, gioca come il gatto con il topo) "che gli esseri umani non pensino manipolando (ehm) simboli" (neretto e borborigma miei). "Conoscenza del significato", "capacità di sfruttare i vincoli del contesto", "capacità di fare attenzione" resterebbero "sostanzialmente fuori della portata dell'intelligenza artificiale", le cui macchine "dimostrano di avere particolari difficoltà proprio in quegli aspetti che sono caratteristici e fondamentali della mente naturale". Da ciò, tanto per ribadire, la conclusione che "la mente degli esseri umani non è una macchina che manipola simboli" (pp. 56-58).

È il "principio di ignorare la base materiale della mente che è sbagliato", ma, per fortuna, i progressi delle scienze biologiche "stanno riducendo sempre di più la distanza che le separa dalla mente" (pag. 61). E questo compito di reintegrare "la mente nella natura", in coincidenza con il "rifiuto della `mente computazionale'", sarebbe connesso - e qui c'è da rimanere a bocca aperta - "con il passaggio dal moderno al post-moderno".

Per chi non capisse bene, Parisi spiega: il moderno "è legato alla razionalità, al maschile, all'estremo controllo conoscitivo e tecnologico della realtà da parte degli esseri umani e quindi alla necessità di collocare la mente fuori dalla realtà perché possa esercitare questo controllo" (pag. 62). E invece "il postmoderno si sforza invece di ridisegnare il mondo in maniera tale che in esso ci sia posto per due sessi differenti". La scienza - e qui vengono anticipate le conclusioni -, non soltanto, "può essere parte del postmoderno solo se viene ridimensionata come una via, accanto ad altre, di conoscenza della realtà" (pag. 63), ma può anche "contribuire alla definizione del post-moderno togliendo la separatezza della mente, e perciò degli esseri umani, dal resto della realtà e permettendo finalmente di guardare anche gli esseri umani come la scienza guarda tutta la realtà - dal di fuori" (pag. 64).

Sinceramente preoccupa che per sanare la differenza costituita dal "recente cambiamento di clima nello studio del comportamento e della vita mentale" si debba ricorrere a queste astrusità. Ci si poteva accontentare di segnalare "il diffondersi del metodo della simulazione mediante il computer" e "l'affermarsi di modelli che interpretano un numero crescente di fenomeni della realtà come fenomeni `complessi'" (pag. 65) senza sentirsi in dovere di darne una spiegazione "epocale" in termini di categorie fumose che, nonostante usi ed abusi, poco hanno a che fare con il dibattito scientifico in qualsiasi ambito lo si voglia restringere. Così argomentando si rischia di ottenere gli effetti opposti di quelli che parrebbero perseguiti - screditando una tesi anziché rafforzandola.

Comunque sia, l'accenno alla simulazione in quanto metodo merita qualche considerazione. Parisi sostiene che "la teoria sta nella testa dello scienziato", mentre "nella simulazione sia la teoria sia i fatti empirici stanno dentro a un computer"; che "la simulazione cerca di conoscere e di capire la realtà sintetizzandola"; che "nel metodo della simulazione (...) teoria e fenomeni non sono separati"; che "se i fenomeni effettivamente vengono fuori e corrispondono a quelli osservati nella realtà, la teoria è confermata" (pag. 67); che "simulare significa semplificare", ma anche che "perché una simulazione (o una teoria) sia utile, deve riuscire a fare le semplificazioni giuste" (pag. 69) ovvero ad "incorporare i principi e i meccanismi importanti che agiscono negli organismi reali" (pag. 71). In quanto asserisce è più che evidente il suo realismo di base (forse è per questo che venera il Wittgenstein del Tractatus) nonché il fatto che, come in ogni realismo, manchi l'esplicitazione dei criteri in base ai quali scegliere le "semplificazioni giuste". D'altronde, per lui, sul modello del colesterolo, esisterebbero due riduzionismi, uno "buono" e uno "cattivo". Il primo sarebbe "semplicemente la scienza", mentre il secondo sarebbe quello di "pensare che i soli fenomeni veramente `reali' sono i fenomeni della fisica" (pag. 72).

Simulazione tramite computer e constatazione della "complessità", poi, costituirebbero "il quadro di riferimento entro il quale si possono studiare comportamento e vita mentale senza dualismi" (pag. 78). Se questo studio sia "scientifico" non si capisce bene: non solo perché "la scienza è solo uno dei modi di conoscere o più in generale di avvicinare la realtà" (pag. 28) - asserzione dove sopravvivono beate antiche e perniciose metafore -, ma anche perché la concezione della scienza di Parisi rimane piuttosto misteriosa. Per esempio: la scienza avrebbe una "vocazione unificante" (pag. 61), ma, alla luce del "pluralismo" pluridichiarato, questa vocazione sarebbe indebita. Per esempio: secondo lui, la scienza si occuperebbe della mente soltanto da "circa un secolo" (pag. 11), pur riconoscendo che i "filosofi", "per secoli, anzi per millenni, hanno preceduto gli scienziati nel cercare di spiegare cos'è la mente" (pag. 37). Parrebbe dunque in possesso di un buon criterio per distinguere fra scienza e filosofia, come, peraltro, di un altro buon criterio per distinguere quella "tradizione culturale dell'Occidente", che rivendicherebbe "la separatezza e la diversità della mente dal resto della realtà" (pag. 12), da altre tradizioni che, evidentemente, rivendicherebbero qualcosa d'altro. Peccato che di tali criteri si taccia con rigore "scientifico".

Morale: a volte le giustificazioni mirano più ad accomodare una storia che nobiliti un compito e gli eventuali risultati che a testimoniare i processi effettivi che hanno orientato una ricerca. Da anni Parisi si rende conto che alla soluzione di problemi come quelli della mente e del linguaggio non ci si arriva in alcun modo senza aver liquidato gli intoppi accumulati nella storia della scienza - con il contributo di psicologie, linguistiche e, perché no, scienze sedicenti "naturalistiche" -, ma si guarda bene dal risalire alla loro matrice filosofica. Parrebbe intenzionato a voler salvare il programma di un modello dell'attività mentale e l'epistemologia di stampo realista, non prendendo neppure in considerazione l'ipotesi della loro incompatibilità.

 

P.s.: Nella retorica della controargomentazione scientifica è nota la mossa smodata e ingorda di rimbecillire la tesi da confutare più di quanto sia verosimile e necessario. Un bell'esempio, in tempi di mentalisti "sdoganati", è quello di affermare perentoriamente che "i comportamentisti" - che ormai dovrebbero essere risparmiati come la Croce Rossa - "insieme alla mente abolirono anche il cervello" (pag. 41).

Notizie

Sul numero 12 dei Working Papers dello Studio Karon (15 maggio 1999), è uscito il saggio di Marco Maria Sigiani "Sulle origini dell'arte e del linguaggio".
Chi volesse riceverlo può richiederlo allo Studio Karon - Palazzo Tornielli - Via Marconi, 3 - 28071 Borgolavezzaro (NO).
e-mail: calciati@lomellina.it


Il nuovo indirizzo di posta elettronica di Carlo Oliva è:
oliva@magritte.it

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